E’ album d’esordio del
cantante: un omaggio al grande Bill Evans nel decennale della
scomparsa. Una raccolta di brani direttamente ispirati alle inconfondibili interpretazioni
del pianista
Ci si appresta sempre con qualche perplessità ad
ascoltare un disco che propone canto jazzistico, soprattutto quando è un
bianco- e per di più non anglosassone, almeno- ad affrontare un’arte vocale
che seppur oggi “universalizzata” fu dei neri americani alle origini e dei
bianchi della stessa grande nazione solo successivamente. La genealogia del “vocal”
jazzistico è oltretutto così complessa da assommare in essa il blues e il
gospel song, il work song e il field holler e giù, giù sino a Tin Pan Alley,
con gli apporti di razze e concezioni che si sono fuse in unico grande
crogiuolo. Così- per rimanere ai cantanti-uomini, il canto jazz ha radici
profondissime che in Louis Armstrong ebbero il primo (e più significativo)
esempio, per arrivare infine ai crooners come Marco Testa che
firma con Aldo Rindone questo disco e che ebbero in Billy Eckstine il
più significativo esponente anche se, come non a tutti è noto, moltissimi
grandi strumentisti del jazz furono anche cantanti sopraffini. E tale va
riconosciuto a chiare lettere è proprio Marco un jazz singer istintivo e
ricco di espressività basata su una sin troppo evidente intima auto
convinzione, che si accoppia in misura estremamente congeniale ad un
“approach” ai temi scelti per realizzare questo disco da colpire
profondamente sin dal ascolto delle prime note di ogni pezzo. Oltretutto si
tratta di una registrazione “ live “, si badi: non di un disco “costruito “
in studio, con i vari titoli ripetuti sino alla noia alla ricerca di una
(formale) perfezione quale quella che, sovente, emerge con tutta evidenza in
troppe realizzazioni discografiche anche conclamate. Musica “ viva “,
insomma, sono le sue (marginali) imperfezioni formali, ma ricca di quel
“pathos “ che solo nel concerto si crea fra esecutore-interprete e
ascoltatore. Ecco così snodarsi, oltre al tema immortale che dà il nome al
disco, il raffinato sono Waltz for Debbie che è la più celebre composizione
di Bill Evans, un grande cui va, sin troppo evidentemente, l’interesse di
Rindone, il dolcissimo I should care, un My romance che consente a Testa di
esprimere in meglio di se stesso, è ancora uno squisito Alice in Wonderland:
ma a che pro soffermarsi sui vari temi scelti dai due amici per offrirci
queste musiche? E’ il loro ascolto che rappresenta l’eterno è insostituibile
“ togetherness” che è l’anima vera del jazz: lo “stare insieme“ vivendo
intensamente comuni esperienze, venendo colpiti da comuni sensazioni,
sentendo salire quell’altrettanto insostituibile “feeling” componente
essenziale del jazz stesso.
Giancarlo
Roncaglia
(La Repubblica, Musica Jazz )
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It’ s the first jazz record of the singer: a homage
to the great Bill Evans in the decade of the passing. A collection of
tunes directly inspired to the
clearly recognizable interpretations of the pianist
It is always
with some perplexity that you start
to listen to a disc that proposes jazz singing, when he is a white man
and for more not Anglo-Saxon, at least, to face a vocal art that even if today
has become universal, it was of the black Americans to the origins, and of
the white men of the same great nation only subsequently. The genealogy of
the jazz vocal is moreover therefore complex to add in it blues and
the gospel song, work song and the field holler and down, down until to Tin
Pan Alley, with the contributions of races and conceptions that have been
melted in only great crucible. Therefore, in order to remain to the
singer-men, the jazz singing it has the deepest roots for first (and more
meaningful) in Louis Armstrong a clear example, in order to arrive finally to
crooners, as Marco Testa, that sign with Aldo Rindone this
record, and that had in Billy Eckstine the most meaningful exponent
even if, as to many is not
known, many great jazz musicians were also excellent singers. And such it is,
it must be recognized very clear, it is Marco, a jazz singer instinctive and
rich of expressiveness based on
sometimes a too much obvious intimate self conviction, than it is coupled in
extremely congenital measure to an approach to the chosen themes in order to
realize this disc to hit deeply
the listen from the
first notes of every piece. Besides draft of one recording. live., it is
attended: not of a disc builted in recording studio, with several tries of
the tracks repeated up to bore,
to the search of a (formal) perfection which emerges often, with all evidence, in too many famous
record realizations. Music that lives, that’s it, with just few
(marginal) formal imperfections, but so rich of that “pathos” that just in
the concert it could be created between executor-interpreter and listener.
Here therefore, from tha beginning, beyond to the immortal theme that gives
the name to the disc, the refined
Waltz for Debbie that is the more famous composition by Bill Evans, a
big one which it goes, sin too much evidently, the interest of Rindone, the
very sweet a My romance, that it concurs to express the singer best, and the
exquisite Alice in Wonderland: but why stop on several chosen songs by the two friends for offer us these
music? It’s the listen that it represents everlast and irreplaceable
“togetherness” that it is the true soul of jazz: staying together living
intensely common experiences, being involved by common feelings, feeling to
go up that also irreplaceable feeling. essential component of the jazz
itself.
Giancarlo Roncaglia (La Repubblica, Musica Jazz )
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