«Chiamate il cantore divino, a lui in sommo grado un dio donò il canto, a darci diletto, comunque il cuore lo spinge a cantare»
Si dice tutte le storie siano riconducibili a due sole: l'Iliade e l'Odissea. Nella prima si svolgono prevalentemente rapporti tra personaggi, nella seconda, sviluppo di accadimenti. Spesso abbiamo costruito i nostri spettacoli su grandi classici, proprio per poter parlare… d’altro, ed altrove! Il nostro viaggio attraverso quello omerico intesserà appunto accadimenti di luoghi e tempi diversi, connettendo figure e simboli ormai intrinseche al nostro immaginario, con quelle del mondo che oggi noi viviamo, e che in qualche modo ne è l’ultimo sviluppo (e talvolta, ahinoi, inviluppo!). Recuperando quindi la grande forza del mito, del sacro che promana dall’intelletto e viceversa, dell’ancestrale, del simbolico, ma senza mai perdere però la vitale energia dell’umoristico, del paradosso, dell’avvertimento del contrario, in una ambiziosa coincidenza di (forse solo presunti) opposti.
Con il
consueto impetuoso meravilluso slancio,
slancio di movimenti coreografici quando disarticolati
quando leggiadri, di nuovi testi e brani sempre in toto e
totalmente originali, di recitazione essenziale ma
pregna, e con guizzanti tratti antinaturalistici,
e infine
di -sontuosissima!- scenografia biologica ad impatto
ambientale, e costo, nullo, allestita con i soli corpi dei
nostri ardimentosi cantattori, … ecco una nuova asciutta
e ritmica rilettura e facitura, lirica (arduo), ed
umoristica (impervio!) della parte centrale dell’Odissea,
storia delle storie, che lo stesso Odìsseo, in dodici passi
scritti ed interpretati sempre dal "multiforme ingegno" di
marTE coSTA, narra al popolo eletto dei feaci (e a sé
medesimo): il FINE mondo.